domenica 6 maggio 2012

San Cerbonio (Cerbone), vescovo di Populonia

Un altro uomo, di venerabile condotta di vita, Cerbonio, vescovo di Populonia, ai nostri giorni ha dato una grande dimostrazione di santità. Dato che era molto zelante nell'offrire ospitalità, un giorno accolse alcuni soldati di passaggio, che nascose quando sopraggiunsero i Goti; in questo modo salvò le loro vite, mettendoli al riparo dalla nequizia di quei barbari. Quando questo fatto fu riferito a Totila, perfido re dei Goti; in preda a violentissimo furore costui fece portare il vescovo in una località di nome Merolis, distante otto miglia dalla città, dove egli si era fermato con l'esercito e, quale spettacolo offerto al popolo, ordinò di gettarlo agli orsi per farlo divorare. Il perfido re in persona era presente allo spettacolo e affluiva folla di gente per assistere alla morte del vescovo. Cerbonio fu portato nel mezzo e per farlo morire fu prescelto un orso crudelissimo che, sbranando selvaggiamente membra umane, appagasse il re crudele. L'orso fu mandato fuori dalla fossa e, incollerito ed eccitato, si scagliò contro il vescovo, ma d'un tratto, dimentico della sua ferocia, piegato il collo e abbassato umilmente il capo, comincò a lambire i piedi del vescovo, facendo capire a tutti con grande evidenza che, riguardo a quell'uomo di Dio, gli uomini davano a vedere sentimenti bestiali, mentre quelli delle belve apparivano quasi umani. Allora il popolo, che era venuto ad assistere a uno spettacolo di morte, con grande clamore manifestò ammirazione e venerazione. Anche il re si dette a manifestare la sua reverenza, e così per giudizio divino accadde che colui il quale prima non aveva voluto seguire Dio risparmiando la vita del vescovo, finì per seguire almeno la mansuetudine delle belve. Sono ancora vivi alcuni che furono presenti a questo episodio e attestano di esserne stati spettatori insieme a tutto il popolo.
Di Cerbonio ho appreso anche un altro miracolo, raccontato dal vescovo di Luni, Venanzio. Egli si era preparato la tomba a Populonia, della cui chiesa era vescovo. Ma poiché i Longobardi, discesi in Italia, stavano devastando tutto il paese, si ritirò nell'isola d'Elba. Quando là, colpito da grave malattia, era sul punto di morire, disse ai suoi chierici e ai suoi dipendenti: "Seppellitemi nella tomba che mi sono preparato a Populonia". E poiché quelli obbiettavano: "Ma come possiamo ricondurre la tua salma in luogo che sappiamo essere tenuto dai Longobardi, i quali devastano tutto il paese?", egli rispose: "Riconducetemi là in piena sicurezza. Non abbiate paura, ma affrettatevi a seppelirmi. E appena avrete seppellito la mia salma, allontanatevi in gran fretta da quel luogo". Allora imbarcarono su una nave la salma del vescovo defunto. Mentre si dirigevano a Populonia, il cielo si rannuvolò e cominciò a cadere una pioggia in gran quantità. Ma affinché a tutti apparisse evidente chi era stato l'uomo la cui salma veniva trasportata dalla nave, per tutto il tratto di mare dall'isola d'Elba a Populonia, che è di dodici miglia, una pioggia molto tempestosa cadde su entrambi i fianchi della nave, ma sulla nave non cadde neppure una goccia. così i chierici arrivarono a destinazione e seppellirono la salma del loro vescovo, poi, come quello aveva detto, tornarono alla nave in gran fretta. Erano appena risaliti, quando arrivò là, dove era stato sepolto il vescovo, Gumaris, un capo longobardo dei più crudeli. Il suo arrivo rese evidente che l'uomo di Dio era stato ispirato profeticamente, quando aveva dato disposizione ai suoi dipendenti di allontanarsi in gran fretta dal luogo della sua sepoltura.

Tratto dai Dialoghi di San Gregorio il Dialogo, papa di Roma, III, 11, nella traduzione a cura di Manlio Simonetti, pubblicata con il titolo Storie di santi e di diavoli, II, Farigliano, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori editore, 2006, pp. 41, 43, 45.

Il nostro padre fra i santi Cerbonio, vescovo di Populonia, viene ricordato dalla Chiesa il giorno 10 di ottobre secondo il calendario giuliano, che corrisponde al 23 ottobre secondo il calendario gregoriano.

martedì 8 novembre 2011

Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli (283-371 d.C.) - 2

Anno 396. Lettera LXIII di Sant'Ambrogio di Milano alla chiesa di Vercelli che, dopo la morte del vescovo Limenio, successore di Eusebio, non riusciva ad accordarsi sull'elezione di un successore.

[...] 2. E' questa la formazione di un confessore, è questa la progenie di quei padri giusti che, non appena lo videro, elessero il santo Eusebio (come vescovo di Vercelli), che non avevano mai conosciuto prima, preferendolo ai loro concittadini (egli non era arrivato presso di loro tanto prima rispetto a quando fu eletto) ed ancora di più quando essi l'ebbero osservato. Giustamente egli, eletto dalla chiesa intera, si rivelò un uomo così grande, giustamente si credette che colui che tutti richiedevano, fosse stato eletto per giudizio di Dio. E' necessario dunque che seguiate l'esempio dei vostri genitori, soprattutto perché voi che siete stati istruiti da un santo confessore dovete essere migliori dei vostri padri, poiché un miglior maestro vi ha istruito ed ha insegnato a voi e dovete manifestare un segno della vostra moderazione e concordia, mettendovi d'accordo nella vostra ricerca di un vescovo.
[...] 66. Ma se una così grande riflessione si richiede nelle altre chiese per l'ordinazione di un vescovo, quanta cura sarà richiesta nella Chiesa di Vercelli, dove due cose sembrano essere richieste in egual misura per un vescovo, la regola monastica e la disciplina ecclesiastica? Perché Eusebio di santa memoria fu il primo in Occidente ad unire queste differenti materie, vivendo in città secondo le regole dei monaci e governando la chiesa con digiuno e temperanza. Perché la grazia del presbiterato è assai aumentata se il vescovo costringe i giovani alla pratica dell'astinenza ed alla regola della purezza; e proibisce loro, sebbene vivano in città, le maniere ed il modo di vita della città.
[...] 67. Seguendo queste strade, Eusebio andò via dalla sua terra e dai suoi stessi parenti e preferì il vagare in terre straniere alla comodità di casa propria. Per la fede egli preferì e scelse anche le asperità dell'esilio, insieme a Dionigi (vescovo di Milano) di santa memoria, che stimava un esilio volontario più che l'amicizia dell'Imperatore. E così questi uomini illustri, circondati da armi, guardati dai soldati, quando vennero strappati dalla più vasta Chiesa, trionfarono sul potere imperiale, perché attraverso la vergogna terrena essi raggiunsero la fortezza dell'anima ed il potere regale; essi, dai quali le bande di soldati ed il chiasso delle armi non poterono strappar via la fede, sottomisero la rabbia di una mente brutale, che fu incapace di danneggiare i santi. Perché, come leggete nei Proverbi, "l'ira del re è come l'ira di un leone".
68. Egli confessò di essere stato sconfitto quando chiese loro di cambiare la loro decisione, ma essi ritennero la loro penna più dura di una spada di ferro. Allora fu l'incredulità ad essere ferita in modo da cadere, non la fede dei santi; essi non desideravano una tomba nella propria terra, poiché era stata loro riservata una casa nei cieli. Vagarono per tutta la terra, "non avendo nulla, e tuttavia possedendo tutto". Ovunque furono mandati ritennero quel posto pieno di delizie, perché non desideravano nulla, in loro ove abbondava la ricchezza della fede. Infine arricchirono altri, essendo essi stessi poveri di mezzi terreni, ma ricchi di grazia. Furono provati, ma non uccisi, nel digiuno, nelle difficoltà, nell'attenzione, nelle veglie. Nella debolezza divennero più forti. Non attesero alle lusinghe del piacere, poiché erano saziati dal digiuno; l'estate bruciante non inaridiva coloro che erano rinfrescati dalla speranza della grazia eterna, né il freddo delle regioni gelide li piegava, poiché la loro devozione germogliava nuovamente in una devozione ardente; non temevano le catene di uomini che Gesù aveva liberato; non aspettavano di essere salvati dalla morte, poiché si attendevano di essere resuscitati in Cristo.
70. Ed infine il santo Dionigi chiese nelle sue preghiere di poter concludere la sua vita in esilio, per paura che, tornando a casa, potesse trovare gli animi del popolo o del clero disturbati dall'insegnamento o dalla pratica dei non credenti, ed ottenne questo favore, in modo da portare con sé la pace del Signore con animo sereno. Così, come il santo Eusebio per primo raggiunse il livello della confessione, così il beato Dionigi perse la vita in esilio con onore maggiore anche di quello dei martiri.
71. Adesso questa pazienza crebbe forte nel santo Eusebio grazie alla disciplina del monastero e, dalla consuetudine della dura sopportazione, egli trasse il potere di sopportare le difficoltà. Perché chi dubita che nella più stretta devozione cristiana queste due cose siano le più eccellenti, gli offici del clero e la regola dei monaci? La prima è una disciplina che abitua alla cortesia ed alla buona moralità, la seconda all'astinenza ed alla pazienza; la prima, come se fosse su un palco aperto, la seconda nella segretezza; l'una è visibile, l'altra nascosta. E così, colui che fu un buon atleta disse: "Siamo resi uno spettacolo per questo mondo e per gli Angeli". Davvero degno era di fissare con lo sguardo gli Angeli, quando era proteso a raggiungere il premio di Cristo, quando era proteso a vivere sulla terra la vita degli Angeli e a superare l'iniquità degli spiriti in cielo, poiché egli combatté con l'iniquità spirituale. Giustamente il mondo fissa lo sguardo su di lui, per poterlo imitare.

venerdì 28 ottobre 2011

Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli (283-371 d.C.) - 1

a. 355
Quando i nostri amici non accettarono il giudizio che essi (gli Ariani) avevano pronunciato riguardo ad Atanasio, venne emanato dall'Imperatore un editto affinché quelli che non avevano sottoscritto la condanna di Atanasio fossero banditi. Ma in quel tempo (a. 353) vennero riuniti alcuni concili di vescovi ad Arles e Bitterae, città della Gallia. Essi richiesero che prima che chiunque fosse costretto a sottoscrivere contro Atanasio, fosse necessario piuttosto iniziare una discussione circa la vera fede; e sostennero che solo allora si sarebbe potuto giungere ad una decisione sul punto controverso, quando si fossero accordati sulle persone dei giudici. Ma Valente ed i suoi alleati, non avventurandosi in una discussione sulla fede, desideravano in primo luogo assicurarsi con la forza la condanna di Atanasio. A causa di questo conflitto fra le parti, Paolino (vescovo di Treviri) venne inviato in esilio. Nel frattempo venne radunata un'assemblea a Milano, dove allora si trovava l'Imperatore; ma qui venne continuata la stessa controversia, senza stemperarne in alcun modo l'amarezza. Allora Eusebio, vescovo dei Vercellesi, e Lucifero, vescovo di Cagliari, in Sardegna, vennero esiliati. Dionigi tuttavia, presbitero di Milano, sottoscrisse la condanna di Atanasio, a condizione che ci fosse poi fra i vescovi una discussione circa la vera fede. Ma Valente ed Ursacio, con tutta la loro parte, a causa della paura del popolo, che manteneva la fede cattolica con straordinario entusiasmo, non si azzardarono a rendere pubbliche le loro mostruose dottrine, ma si riunirono nel palazzo (imperiale). Da quel luogo e sotto il nome dell'Imperatore, indirizzarono una lettera piena di ogni sorta di turpitudine, con l'obbiettivo, senza dubbio, che se il popolo l'avesse ascoltata con favore, avrebbero potuto portare avanti, con l'autorità imperiale, ciò che desideravano; se fosse avvenuto altrimenti, tutto il risentimento sarebbe stato diretto contro il sovrano, ma il suo errore sarebbe stato considerato scusabile, perché, essendo solo un catecumeno, si supponeva che potesse sbagliarsi sulle materie di fede. Bene, quando la lettera venne letta nella chiesa, il popolo l'avversò. E Dionigi, poiché non era d'accordo con loro, venne bandito dalla città, mentre Aussenzio fu immediatamente scelto come vescovo al suo posto. Anche Liberio, vescovo della città di Roma, ed Ilario, vescovo di Poitiers, furono inviati in esilio.

Sulpicio Severo, Cronache (ca. 403), lib. II, cap. XXXIX


Dopo la morte di Costante, Magnenzio assunse l'autorità suprema nell'Impero occidentale; e, per reprimere la sua usurpazione, Costanzo riparò in Europa. Ma questa guerra, pur severa come fu, non pose fine a quella contro la Chiesa. Costanzo, che aveva abbracciato i dogmi ariani e prontamente si era lasciato persuadere dall'influenza di altri, venne convinto a convocare un concilio a Milano, una città dell'Italia, ed in primo luogo a costringere tutti i vescovi ivi radunati a firmare la deposizione approvata da giudici iniqui a Tiro; e poi, poiché Atanasio era stato espulso dalla Chiesa, a redigere una nuova confessione di fede. I vescovi si riunirono in concilio quando ricevettero le lettere imperiali, ma erano lontani dall'agire secondo le sue indicazioni. Al contrario, essi dissero in faccia all'imperatore che ciò che comandava era ingiusto ed empio. Per quest'atto di coraggio vennero espulsi dalla Chiesa e relegati ai più lontani confini dell'Impero. L'ammirevole Atanasio così menziona queste circostanze nella sua Apologia: "Chi", scrive, "può narrare le tali atrocità che essi perpetrarono? Poco tempo fa, quando le Chiese erano nel godimento della pace, e quando la gente era radunata in preghiera, Liberio, vescovo di Roma, Paolino, vescovo della metropoli della Gallia, Dionigi, vescovo della metropoli d'Italia, Lucifero, vescovo della metropoli dell'Isola di Sardegna ed Eusebio, vescovo di una delle città d'Italia, che erano tutti vescovi esemplari e predicatori della verità, furono catturati ed inviati in esilio per nessun altro motivo se non perché non potevano acconsentire all'eresia ariana, né firmare le false accuse che erano state formulate contro di noi. Non è necessario ch'io parli del grande Osio [vescovo di Cordova], anziano e fedele confessore della fede, perché chiunque sa che fu anch'egli inviato in esilio. Di tutti i vescovi egli era il più illustre. Quale concilio potrebbe essere menzionato che egli non abbia presieduto e convinto tutti i presenti con il potere del suo ragionamento? Quale Chiesa non ricorda ancora la gloriosa memoria della sua protezione? Capitò mai che qualcuno che si recava da lui nel dolore, non ne ritornasse nella gioia? Che qualcuno che avesse chiesto il suo aiuto, non ottenesse tutto ciò che desiderava? Tuttavia essi ebbero la sfacciataggine di attaccare questo grande uomo, semplicemente perché, dalla sua conoscenza dell'empietà delle loro calunnie, si rifiutò di apporre la sua firma alle loro astute accuse contro di noi".

Teodoreto di Ciro, Storia ecclesiastica (ca. 444-449), lib. II, cap. XII


Ma mentre essi [gli Ariani] pensavano di stare portando avanti i loro piani contro molti per mezzo suo [dell'imperatore Costanzo], non sapevano però di stare facendo in modo che molti divenissero confessori, fra i quali vi sono coloro che più tardi fecero una così gloriosa confessione, uomini religiosi ed eccellenti vescovi, Paolino, vescovo di Treviri, la metropoli delle Gallie, Lucifero, vescovo della metropoli di Sardegna, Eusebio di Vercelli, in Italia e Dionigi di Milano, che è la metropoli d'Italia. Costoro convocò l'imperatore davanti a sé e comandò loro di sottoscrivere contro Atanasio e di comunicare con gli eretici; e quando essi si dimostrarono stupefatti di fronte a questa nuova procedura e dissero che non c'era alcun canone ecclesiastico che la prevedesse, egli rispose immediatamente: "Il mio volere dev'essere considerato come un canone; i "vescovi" della Siria mi permettono di parlare così. Dunque obbedite o siate banditi".
Quando i vescovi udirono ciò furono completamente stupefatti e, alzando le loro mani a Dio, usarono grande audacia nel parlare contro di lui, insegnandogli che il regno non era suo, ma di Dio che glielo aveva dato e che essi gli indicavano di temere, altrimenti avrebbe potuto rapidamente sottarglielo. Inoltre lo minacciarono con il giorno del giudizio, lo misero in guardia dall'infrangere l'ordine ecclesiastico e mischiare la sovranità romana con la costituzione della Chiesa e parlarono contro l'introduzione dell'eresia ariana nella Chiesa di Dio. Ma egli non li ascoltò, né permise loro di parlare oltre, ma li minacciò il più possibile, estrasse la spada contro di loro e diede ordine che alcuni fossero condannati a morte; sebbene più tardi, come il Faraone, se ne pentisse. Gli uomini santi tuttavia, scuotendo la polvere e rivolgendo lo sguardo a Dio, non ebbero timore delle minacce dell'imperatore, né tradirono la loro causa di fronte alla sua spada sguainata; ma ricevettero l'esilio come un servizio connesso al loro ministero. E durante il viaggio predicarono il Vangelo in ogni luogo e città che visitavano, sebbene fossero legati, proclamando la fede ortodossa, anatematizzando l'eresia ariana e stigmatizzando la ritrattazione di Ursacio e Valente. Ma questo era contrario all'intenzione dei loro nemici; perché maggiore era la distanza del luogo dell'esilio, più ancora cresceva l'avversione contro di loro, mentre le peregrinazioni di questi uomini non erano altro che il vessillo della loro empietà. Perché chi fra quelli che li vedevano passare non li ammirava grandemente come confessori e non rinuciava agli altri, avendoli in abominio, chiamandoli non solo uomini empi, ma carnefici ed assassini, e qualsiasi altra cosa, piuttosto che Cristiani?

Sant'Atanasio di Alessandria (295-373), Historia Arianorum ad monachos, parte IV, capp. 33-34.


Vengo ora a parlare di ciò che è accaduto di recente, in cui si racchiude la manifestazione della loro (gli Ariani) scelleratezza, nel segreto della loro astuzia. Eusebio, vescovo di Vercelli, è uomo che serve Dio con tutta la sua vita. In quel tempo, dopo il concilio di Arles (353), quando il vescovo Paolino contrastò molte loro scelleratezze, gli venne comandato di venire a Milano. Radunata già là la sinagoga dei malignanti, per dieci giorni venne impedito nell'accedere alla chiesa, finché contro un uomo così santo non si consumò una malizia perversa. Incancreniti poi i consigli di tutti, venne convocato dove piacque. Sopraggiunse assieme con i chierici romani (il diacono Ilario e Pancrazio) e Lucifero, vescovo della Sardegna. Convocato affinché sottoscrivesse contro Atanasio, disse che in primo luogo bisognava concordare sulla fede; gli era noto che alcuni fra quelli che partecipavano erano corrotti dall'infamia eretica. Pose al centro l'esposta fede di Nicea, che abbiamo ricordato sopra, promettendo che avrebbe fatto tutto ciò che gli veniva richiesto, se avessero scritto la professione di fede. Dionigi, vescovo di Milano, prese per primo il foglio, ove, scrivendo, cominciò  a professarla; Valente gli tolse violentemente di mano la penna ed il foglio, proclamando che non poteva essere fatto, che qualcosa sarebbe stato fatto poi. La questione, dopo molto clamore, venne portata a conoscenza del popolo: sorse un grave dolore in tutti, la fede viene contrastata dai sacerdoti. Poiché quelli temono il giudizio del popolo, passano da ciò che appartiene al Signore alla parte del palazzo. Avevano scritto una sentenza di tal genere contro Eusebio molto prima che egli entrasse in chiesa: la stessa sentenza parla da sé.

Sant'Ilario di Poitiers, Ad Constantium Augustum (ca. 360-361), VIII


Al molto onorevole signore Vescovo Eusebio dal Vescovo Lucifero e dai presbiteri Pancrazio e Ilario.

Poiché il capitano del demonio è ben preparato e ci sono voci maligne, santo signore, ti chiediamo di non trascurare la grazia a te donata dal nostro Signore, ma per favore sbrigati, affinché tu possa arrivare il più rapidamente possibile e gli insegnamenti degli Ariani possano essere messi in fuga. Perché il Signore ed il suo Cristo sanno che, così come il nome di Dio venne glorificato all'arrivo degli apostoli alla caduta di Simone, allo stesso modo, una volta che Valente sia espulso al tuo arrivo, il distruttivo tradimento degli Ariani blasfemi potrà essere interamente distrutto.
Noi, santissimo signore, dal primo giorno in cui fummo a Vercelli fino ad oggi abbiamo ricercato la tua devozione e chiediamo al Signore che in questa chiesa tutti i santi possano glorificare un completo ristabilimento delle cose e possano accompagnare la tua forza spirituale con le dovute glorificazioni. Crediamo che questo si otterrà, perché siamo convinti che la sofferenza del Salvatore non potrà essere sopraffatta.

Cristo, il Signore glorioso, ti guardi, santissimo e benedetto.

Epistula "Calcato capite", in V. Bulhart, Corpus Christianorum Series Latina, IX, Turnhout 1957, p. 120.


Eusebio, nativo della Sardegna, fu prima lettore a Roma e in seguito vescovo di Vercelli; inviato dall'imperatore Costanzo a Scitopoli e in seguito in Cappadocia a causa della sua confessione di fede, ritornò alla chiesa sotto l'imperatore Giuliano e pubblicò i Commentari di Eusebio di Cesarea sui Salmi, che aveva tradotto dal greco in latino; morì durante il regno di Valentiniano e Valente.

San Gerolamo, De viribus illustris (ca. 392-393), cap. XCVI.


a. 362
Dopo il ritorno di Atanasio, Lucifero, vescovo di Cagliari, in Sardegna ed Eusebio, vescovo di Vercelli, città della Liguria, in Italia, ritornarono dalla Tebaide superiore. Essi erano stati condannati da Costanzo all'esilio perpetuo in questa regione. Per la regolamentazione e la sistemazione generale degli affari ecclesiastici Eusebio venne ad Alessandria per radunare, di concerto con Atanasio, un concilio con lo scopo di confermare le dottrine di Nicea.
Lucifero mandò un diacono con Eusebio perché prendesse il suo posto al concilio e andò di persona ad Antiochia, per visitare la chiesa che là era disturbata. Era allora stato provocato dagli Ariani uno scisma sotto la guida di Euzoio e dai seguaci di Melezio che, come ho detto sopra, era in disaccordo perfino con quelli che avevano le loro stesse posizioni. Poiché Melezio non era tornato ancora dall'esilio, Luciferò ordinò vescovo Paolino.
Nel frattempo i vescovi di molte città si erano riuniti in Alessandria con Atanasio ed Eusebio ed avevano confermato le dottrine di Nicea. Essi confessarono che il Santo Spirito è consustanziale al Padre e al Figlio e fecero uso del termine "Trinità". Dichiararono che la natura umana assunta da Dio il Verbo doveva essere considerata come consistente non soltanto di un corpo perfetto, ma anche di un'anima perfetta, come anche era stato insegnato dagli antichi pensatori della Chiesa. Poiché la Chiesa era agitata da problemi concernenti i termini "sostanza" ed "ipostasi" e le contese e le dispute su queste parole erano state frequenti, essi dichiararono, come penso, saggiamente, che da quel momento questi termini non dovessero essere usati all'inizio in riferimento a Dio, eccetto per confutare le teorie dei Sabelliani; per timore che, per scarsità di parole, la stessa ed unica cosa potesse essere chiamata in tre modi diversi; ma che si dovesse comprendere ciascuno con il suo termine peculiare in modo triplice.
Questi furono i decreti approvati dai vescovi convenuti in Alessandria. Atanasio lesse in concilio il documento sulla sua fuga, che aveva scritto per giustificarsi.

Sozomeno, Storia ecclesiastica (ca. 440-443), lib. V, cap. XII.


Ma il Signore si destò e comandò che la tempesta cessasse; la bestia (l'imperatore Costanzo) morì, e ci fu di nuovo calma. Per parlare più chiaramente, tutti i vescovi che erano stati banditi dalle loro sedi, per la clemenza del nuovo imperatore (Giuliano) ritornarono alle loro chiese. Allora l'Egitto accolse trionfante Atanasio; allora Ilario (di Poitiers) ritornò dalla battaglia nelle braccia della chiesa di Gallia; allora Eusebio ritornò e l'Italia mise da parte le sue vesti a lutto.

San Gerolamo, Dialogo contro i Luciferiani, XIX.


Non appena il concilio di Alessandria si sciolse, Eusebio, vescovo di Vercelli, andò da Alessandria ad Antiochia; qui, trovando che Paolino era stato ordinato da Lucifero e che il popolo era in disaccordo, perché i partigiani di Melezio tenevano le proprie assemblee separatamente, fu immensamente amareggiato dalla mancanza di armonia intorno a questa elezione e fra sé disapprovò quanto era avvenuto. Il suo rispetto per Lucifero lo indusse tuttavia a tacere e alla partenza di questi si impegnò perché ogni cosa fosse decisa da un concilio di vescovi. In seguito lavorò con grande serietà per unire i dissenzienti, ma senza successo. Nel frattempo Melezio ritornò dall'esilio; e trovando i suoi seguaci che si riunivano separatamente dagli altri, si pose alla loro testa. Ma Euzoio, il capo dell'eresia ariana, aveva il possesso delle chiese: Paolino teneva solo una piccola chiesa in città, dalla quale Euzoio non lo aveva espulso, per via del suo personale rispetto per lui. Ma Melezio riuniva i suoi aderenti fuori dalle porte della città. Fu in queste circostanze che Eusebio lasciò Antiochia in quel momento. Quando Lucifero comprese che la sua ordinazione di Paolo non era approvata da Eusebio, considerandolo un insulto, divenne altamente irritato; e non solo ruppe la comunione con lui, ma cominciò anche, in spirito di contesa, a condannare ciò che era stato deciso dal sinodo. Queste cose, accadendo in una stagione di terribili disordini, allontanò molti dalla chiesa; perché molti si unirono a Lucifero e così nacque una setta separata, sotto il nome di "Luciferiani". Tuttavia Lucifero fu incapace a dare piena espressione alla propria rabbia, poiché si era fatto promettere dal proprio diacono di concordare con tutto quello che fosse stato deciso dal sinodo. Perciò egli aderì ai dogmi della chiesa e ritornò in Sardegna alla propria sede: ma quelli che all'inizio si erano identificati con la sua contesa, continuarono a rimanere separati dalla chiesa. Eusebio, d'altra parte, viaggiando attraverso le province orientali come un buon medico, ristabilì completamente coloro che erano deboli nella fede, istruendoli e fortificandoli nei principi ecclesiastici. Dopo questo, attraversò l'Illirico e poi in Italia, dove perseguì un analogo comportamento.


Socrate, Storia ecclesiastica, lib. III, cap. IX.



Eusebio, vescovo di Vercelli fu grande aiuto contro gli eretici per il detto Ilario (santo vescovo di Poitiers), egli che dimostra di vivere dopo la morte con le presenti virtù. Infatti, nel giorno della sua nascita, quando molti malati vengono salvati, i posseduti tuttavia, che con grandi contorcimenti imperversano per tutta la chiesa e confessano di essere afflitti da un tormento eccessivo, sollevati nell'aria rompono, percuotendole con mano, le lampade che sono accese per l'officio della luce; e cosparsi dal liquido che ne cola, vengono purificati nella persona, poiché il demone si allontana immediatamente; e allora il popolo sa che tutti i malati che vedono le lampade rotte guariscono. Ma anche tutto ciò che si trova sotto il dominio della sua basilica viene conservato dalla pia protezione, affinché non sia sottratto qualcosa da qualcuno. Infatti vedresti le greggi di pecore, giumente e capre fra gli iniqui nemici, che non potranno essere completamente raggiunti da qualcuno, poiché risuonerà la voce del pastore: questa è del confessore Eusebio. Mia madre pose le sue reliquie nel luogo di preghiera della sua casa. Avvenne che un giorno d'inverno, essendo rimasta in allegra conversazione per tutta la notte a lungo davanti al fuoco, che era composto da molte cataste di legna, mentre il resto della famiglia dormiva già, si alzò e pose il letto non lontano dal fuoco. Mentre tutti dormivano, una scintilla salì fino alle travi e, raggiuntane una, cominciò a spargere fiamme vigorose: ma credo che per virtù di quel Santo, le cui reliquie erano vicine, le fiamme, contro natura, ripiegarono incurvandosi all'indietro. Né si estesero al tetto, come avviene solitamente, ma passarono in basso; al punto che non si sarebbe ritenuta fiamma, ma velli di lana pendenti dalla trave; e non la bruciava, ma soltanto errava, ardendo su di essa, finché, svegliatasi la madre e chiamati i servi, spense l'incendio gettandovi acqua, mentre facilmente tutta la casa avrebbe potuto incendiarsi assieme a tutti coloro che vi dormivano, se fosse mancata la virtù del Beato.

San Gregorio di Tours (538-594), Liber de gloria beatorum Confessorum, tit. III


Dal punto di vista delle fonti coeve, ci sono rimaste anche quattro lettere del vescovo e papa di Roma san Liberio a sant'Eusebio, tre databili al 354: la prima, che inizia Me frater carissime, lo informa che dopo la defezione di Vincenzo, vescovo di Capua, "i vescovi di tutta l'Italia sono stati costretti a riunirsi in assemblee per obbedire alle disposizioni degli Orientali". E che Lucifero, vescovo di Cagliari, si stava recando dall'Imperatore per richiedere la convocazione di un concilio, al quale Liberio esortava anche Eusebio a partecipare. La seconda, Remeante filio meo, in cui raccomanda Lucifero, vescovo di Cagliari, ed i suoi inviati, il presbitero Pancrazio ed il diacono Ilario, per aver compiuto grandi sforzi in difesa della Chiesa; la terza, Sciebam, domine frater, in cui loda Eusebio per aver mostrato grande riguardo verso i suoi legati, Pancrazio ed Ilario, e per aver deciso di avvicinare l'Imperatore con loro. Gli annuncia anche di aver inviato, per la medesima missione, anche Fortunaziano, vescovo di Aquileia. La quarta risale al 355 ed è indirizzata ad Eusebio di Vercelli, Dionigi di Milano e Lucifero di Cagliari, la Quamvis sub imagine. In essa consola i tre esiliati e scrive di aver condiviso con loro il medesimo destino.


La memoria del nostro padre fra i santi Eusebio è celebrata dalla Chiesa il 1/14 agosto, giorno della sua nascita al cielo, e il 15/28 dicembre, giorno della sua ordinazione. Le sue reliquie sono conservate in un reliquiario d'argento nella cattedrale romano-cattolica a lui dedicata a Vercelli.

domenica 16 ottobre 2011

Vita della nostra santa madre Genoveffa di Parigi (VI)

Il figlio del suddiacono


Un certo suddiacono, vedendo i grandi miracoli da lei operati, le portò suo figlio, che era stato gravemente afflitto per dieci mesi da brividi di febbre. Genoveffa si fece portare dell'acqua, che prese e segnò con l'emblema della Croce, dopo aver chiamato il nome del Signore, quindi gliela diede da bere. E per la grazia del Signore Gesù Cristo egli fu immediatamente guarito.


I fili dei suoi abiti procurano guarigioni


In quei tempi molti che erano pieni di fede, portando con loro fili dei suoi indumenti, furono guariti da una varietà di malattie. E molti che erano posseduti da demoni furono da lei purificati.


Una tempesta sedata


E così, quando rientrò da Sainte Maure, dove era stata per un certo numero di giorni, la moglie del tribuno che aveva riavuto la salute grazie a lei l'accompagnò finché si imbarcò sulla nave. Ed a coloro che stavano rientrando con la nave accadde quanto segue. Il vento stava spingendo pericolosamente la nave verso scogli e alberi, i contenitori del cibo furono rovesciati, e la nave prese a imbarcare acqua. Allora Genoveffa chiese aiuto a Cristo con le mani levare al cielo, e le navi tornarono sulla loro rotta. Così il nostro Dio e Signore, attraverso di lei, salvò undici navi cariche di cibo. Quando il presbitero Besso (che era rimasto spaventato al punto che che 'il calore abbandonò le sue ossa') vide tutto ciò, fu colmo di gioia, e cantò a chiara voce, dicendo che "Il Signore è divenuto per noi aiuto e protezione per la salvezza" (Cf. Es. 15,2) E tutti quanti erano con lui elevarono le loro voci al cielo, cantando il cantico dell'Esodo (Es. 15), e magnificarono Dio che li aveva salvati.


Come Genoveffa diede sollievo agli affamati


Rientrata dunque nella città di Parigi, Genoveffa distribuì le scorte di grano a tutti secondo le loro necessità. E diede preferenza ad alcuni che erano privi di forze a causa del loro bisogno, così che spesso le fanciulle al suo servizio correvano al forno e non vi trovavano parte del pane che vi avevano depositato, poiché la maggior parte era già stato distribuito ai poveri. Ed esse scoprirono presto la causa dei pani mancanti, quando videro i bisognosi della città portare pani appena usciti dal forno, e insieme benedire a gran voce il nome di Genoveffa. Ella infatti non riponeva la sua speranza nelle cose visibili, ma in quelle invisibili. In lei si compiva la parola del profeta: "Chi fa la carità a un povero fa un prestito al Signore" (Prov 19,17). Per rivelazione dello Spirito Santo, ella aveva visto quella terra dove coloro che donano ai poveri cercano il proprio tesoro, e ogni volta che riteneva di essere stata visitata nel corpo dal Signore, sotto forma di uno straniero da lei aiutato, piangeva in continuazione.


Fruminio di Meaux


Un certo ufficiale della città di Meux, di nome Fruminio, aveva sofferto da quattro anni di un blocco dei canali delle sue orecchie, quando cercò Genoveffa a Parigi, e la supplicò di ridargli l'udito con un tocco della sua mano. E appena ella lo ebbe segnato, toccando le sue orecchie con la mano, egli riebbe istantaneamente l'udito, e benedì il nostro Signore Gesù Cristo.



La fanciulla Claudia


I miracoli da lei compiuti nella città di Arles non dovrebbero mancare dalla nostra cronaca. Una donna di nome Fraterna, madre di una fanciulla di nome Claudia, era disperata per la vita della figlia, che era prossima alla morte. Si affettò da Genoveffa per farle una richiesta per la figlia, e la trovò in preghiera nella basilica del santo vescovo Aniano. Caduta ai suoi piedi, e lamentandosi, disse solo queste parole: "O Signora Genoveffa, fammi riavere mia figlia." Si dice che Genoveffa, quando vide la sua fede, abbia risposto: "Cessa di importunarmi; tua figlia è tornata in perfetta salute." Con gioia, Fraterna si rialzò e assieme a Genoveffa tornò alla sua dimora. Per mirabile potenza di Dio, Claudia fu guarita, e richiamata dalle porte dell'inferno così all'improvviso che si mise a servire Genoveffa a casa propria, in perfetta salute. E tutta una folla magnificò il Signore per la salute improvvisa data a Claudia attraverso la rettitudine di Genoveffa.


Il padrone ostinato


Avvenne che nella stessa città ella supplicò un certo uomo di perdonare un suo servo che aveva commesso una colpa. Ma egli, indurito dall'orgoglio e dall'ostinazione, non volle perdonarlo affatto." Ella gli disse queste parole: "Anche se tu mi hai disprezzato quando ti supplicavo, il mio Signore Gesù Cristo non mi disprezza, poiché è compassionevole e misericordioso nel perdono". E quando quell'uomo ritornò a casa, fu preso da una tale febbre che non poté riposare per tutta la notte, ansimando e bruciando. Il giorno dopo, al mattino presto, gli si aprì la bocca che prese a schiumare. Gettandosi ai piedi di Genoveffa, chiese per sé il perdono che il giorno prima aveva negato al suo servo. La santa Genoveffa lo segnò, e la febbre e la malattia lo lasciarono: così il padrone fu rafforzato nell'anima e nel corpo, e il servo fu perdonato. Senza dubbio fu un Angelo del Signore ad affliggerlo, nello stesso modo di cui si legge a proposito dell'ebreo Aniciano, un uomo molto ostinato, alla cui porta si era presentato San Martino, supplicandolo a favore di certi uomini in catene. I libri dicono che gli fu inflitto un castigo da un Angelo del Signore, che lo fece correre fuori della sua casa e da San Martino, accordandogli ogni sua richiesta.


I posseduti di Tours


Viaggiando verso Tours, Genoveffa patì molte tribolazioni sul fiume Loira. Ci sono circa seicento stadi da Arles a Tours, che è chiamata la terza Lione. E quando ella giunse al porto della città di Tours, una folla di posseduti le corse incontro dalla basilica di San Martino, mentre gli spiriti più malvagi gridavano che tra i santi Martino e Genoveffa erano arsi come tra le fiamme. Inoltre confessarono che le molte prove a lei capitate sulla Loira erano stati loro a inviarle per invidia. Intanto Genoveffa, entrata nella basilica di San Martino, purificò molti dei posseduti dai demoni attraverso la preghiera e il segno della Croce. Coloro dai quali se ne erano andati i demoni dicevano che nell'ora del loro tormento erano stati bruciati dalle dita delle mani di Genoveffa, come se fossero state candele accese a un fuoco dal cielo che brucia tutto intorno, ed era per questo che avevano urlato così terribilmente e fatto gesti così selvaggi.


Casalinghe importunate dai demoni


Giunsero da lei tre uomini, le cui mogli erano evidentemente importunate da demoni nelle loro case, e la pregarono di liberarle dagli spiriti malvagi facendo loro visita. Genoveffa, con la sua abituale cortesia, li seguì, entrò in ogni casa, pregando e ungendole con olio benedetto. E purificò le donne dai demoni.

Il cantore posseduto


Tre giorni dopo, mentre Genoveffa stava in vigilia nella basilica di San Martino, pregando in un angolo, e benediceva e lodava il Signore, restando in mezzo alla congregazione per non essere riconosciuta, le si avvicinò dall'abside uno dei cantori, posseduto da un demone, che si torceva i propri arti, pensando nella sua insanità che appartenessero ad altri. E quando Genoveffa ordinò allo spirito impuro di uscire dal corpo dell'uomo, e lo spirito minacciò che sarebbe uscito dall'occhio, a un comando di Genoveffa fu trasportato con un flusso dalle sue viscere, lasciando una traccia repellente. E senza indugio, appena il demone fu scacciato, l'uomo liberato fu lavato e ripulito. Allora tutti la riverirono con grandi onori ogni volta che entrava o usciva.


Il diavolo può correre, ma non può nascondersi


Più o meno allo stesso tempo, stando alla porta di casa sua, vide una certa giovane che passava con una giara in mano. Chiedendole di avvicinarsi, Genoveffa le chiese cosa stesse portando. Ed ella disse: una giara per liquidi, che mi hanno appena venduto alcuni mercanti." Ma Genoveffa, veduto il nemico del genere umano seduto sulla bocca della giara, lo minacciò, soffiò nella giara, e subito una parte della bocca della giara si spezzò e cadde. Quindi, segnando la giara, disse alla ragazza di proseguire. Vedendo ciò, la gente si stupiva, poiché il diavolo non riusciva mai a nascondersi da lei.


Il bambino Maroveo


Un bambino piccolo, di nome Maroveo, fu portato dai suoi genitori a Genoveffa, cieco, sordomuto e paralitico. Ungendolo con olio benedetto, ella lo fortificò anche con il segno della Croce. E in questo modo la sua infermità fu sanata, ed egli fu in grado di camminare come un bambino sano, e ricuperò interamente la vista, l'udito e la parola.


Un raccolto in pericolo


Un'altra volta, nella regione della città di Meaux, dove erano riuniti quelli che lavoravano al raccolto, e anche Genoveffa stava occupandosi del proprio raccolto, i raccoglitori furono seriamente turbati dall'imminente vicinanza di una tempesta. Subito Genoveffa, secondo la sua consueta abitudine, entrò nella sua tenda e si stese al suolo iniziando a pregare con lacrime. Cristo mostrò il suo mirabile potere a tutti quanti erano lì a osservare, perché la pioggia inzuppò tutti i campi dell'area, ma non una goccia cadde sul campo di Genoveffa, e su quanti vi lavoravano al raccolto.


Il clima tempestoso calmato


Avvenne quindi che, mentre una barca navigava sulla Senna, il clima, come spesso accade, cambiasse all'improvviso. Anche se era stato sereno, iniziò a svilupparsi una tempesta, e la piccola nave fu tanto sbattuta dal vento da essere quasi coperta dalle onde. Ma Genoveffa guardò al cielo, estese le mani e invocò l'aiuto del Signore. La tempesta si calmò in modo tanto istantaneo che tutti credettero che Cristo stesso fosse giunto a comandare ai venti e alle onde.


Riempimento miracoloso dell'olio


Genoveffa guariva sempre i malati ungendoli con olio benedetto. Un giorno desiderava ungere un uomo tormentato da un demone, ma l'ampolla dove teneva il suo olio benedetto le fu portata vuota. Allora la santa ancella di Dio Genoveffa fu terribilmente turbata, ed esitò, non sapendo che cosa fare, dato che il vescovo che benediceva per lei l'olio era assente. Così si prosternò a terra pregando che le fosse portato un aiuto dal cielo per liberare il sofferente. All'istante in cui si alzò dalla preghiera, l'ampolla nelle sue mani si colmò di olio. E così nella stessa ora due miracoli furono compiuti per opera di Cristo: l'olio che a lei mancava fu ricolmato mentre teneva l'ampolla vuota nelle mani, e il posseduto, unto con questo olio, fu liberato dal tormento del demone.

Diciotto anni dopo il suo riposo, quando vidi io stesso in quell'ampolla l'olio che si era moltiplicato con la sua preghiera, mi decisi a mettere per iscritto la sua vita.


Il suo riposo nel Signore


Per quanto riguarda il resto della sua vita, e la gloria del suo funerale, ho deciso di mantenere il silenzio per brevità. Genoveffa si addormentò nel Signore a età matura e avanzata, colma di virtù e di miracoli, e dopo avere dimorato per oltre otto decenni nel corpo in questo mondo, si dipartì verso il Signore, e fu sepolta in pace il terzo giorno delle none di gennaio.


L'uomo con un calcolo


Un certo uomo di nome Prudente ricevette aiuto e consolazione sulla tomba di Genoveffa, e penso che non sia sbagliato parlarne ai fedeli, per venerazione alla soglia del suo riposo. Egli era così ammalato per un calcolo renale che la sua famiglia disperava della sua vita; ma alla tomba di Genoveffa implorarono la guarigione della sua malattia con lamenti e pianti. In quello stesso giorno la pietra generata dalla sua infermità fu espulsa, ed egli non fu mai più colpito da un male simile.


La correzione di un goto che aveva fatto lavori manuali alla Domenica


Le mani di un certo goto che aveva lavorato nel giorno del Signore si erano inaridite. Ma una volta che egli ebbe pregato per la guarigione stando tutta la notte presso la tomba di Genoveffa, toccò l'edicola di legno che era stata eretta sulla sua tomba, ed avendo riavuto le mani integre, se ne andò in perfetta salute.

La sua basilica, terminata da Santa Clotilde


Anche Re Clodoveo di gloriosa memoria - che era davvero terribile in battaglia - a causa del suo amore per la santa vergine, perdonò più volte quanti aveva gettato in prigione. E a causa delle suppliche di Genoveffa, rilasciò anche dei colpecoli ben noti per i loro crimini. Inoltre, iniziò a costruire una basilica con la quale glorificarla: questa fu completata dopo la sua morte prematura dalla sua regina, Santa Clotilde, una donna davvero meravigliosa. Ha un triplo portico, oltre a uno per i Patriarchi e i Profeti e uno per i Martiri e i Confessori, con dipinti.


Invito


Così tutti noi che adoriamo il Padre, il Figlio e il Santo Spirito nell'essenza della natura divina, e che confessiamo l'unità nella Trinità, supplichiamo senza posa la fedelissima ancella di Dio, Genoveffa, di chiedere a Dio il perdono del male da noi fatto, cosicché una volta riconciliati con Dio possiamo dare vera gloria al nostro Signore Gesù Cristo, a cui si addice ogni gloria, onore e dominio e potenza, nei secoli dei secoli. Amen.

La traduzione italiana della presente vita si deve all'igumeno padre Ambrogio (Cassinasco).


La nostra madre fra i santi Genoveffa è commemorata il 3/16 gennaio.

mercoledì 29 dicembre 2010

Vita della nostra santa madre Genoveffa di Parigi (V)

Il bambino Cellomero


Dopo non molto tempo una donna che Genoveffa aveva liberata da un fastidioso demone era con lei. Ora, suo figlio aveva quattro anni, ed era caduto per disgrazia in un pozzo, e dopo essere stato immerso per quasi tre ore, fu tirato fuori da sua madre, che con gemiti e lamenti e con un aspetto distrutto lo depose morto ai piedi di Genoveffa. Costei lo prese e lo coprì con il suo velo, quindi si prosternò in preghiera, non cessando di pregare finché lo stato di morte non lasciò il bambino. Era il tempo della Quaresima, e il bambino, fatto catecumeno, fu istruito nella fede cattolica e battezzato alla vigilia di Pasqua. Fu chiamato Cellomero, poiché fu nella cella di Genoveffa che riebbe indietro la vita che aveva perduto.


L'uomo dalla mano inaridita


Nella città di Meaux corse a incontrarla un uomo con una mano inaridita, supplicandola di ridargli la salute. E così, prendendo la sua mano disseccata, e rafforzando la struttura delle sue dita e il suo braccio menomato con il srgno della Croce, Genoveffa gli restituì l'uso della mano nello spazio di mezz'ora.


La visitatrice curiosa


Dal giorno santo dell'Epifania fino al giorno chiamato Natività del Calice, o della Cena del Signore [Giovedì Santo], era abitudine della beata Genoveffa di rimanere rinchiusa e sola nella sua piccola cella, per poter servire più liberamente Iddio solo, con preghiere e vigilie. Un giorno venne da lei una certa dona motivata più dalla curiosità che dalla fede, che voleva sapere e poter raccontare ciò che Genoveffa faceva nella sua cella. Appena quella donna si accostò al suo uscio, perse la vista. Non so la ragione per cui le capitò questa punizione, ma alla conclusione della Quaresima Genoveffa uscì dalla sua cella, e con preghiere e con il segno della Croce le restituì la vista.

L'albero abitato dai demoni


Giunse il tempo in cui Parigi, per un periodo di dieci anni, fu sottoposta a blocco da parte dei Franchi. E sulla città cadde una tale fame che non poche persone morirono di stenti. E avvenne che Genoveffa fosse alla città di Arcis-sur-Aube, dove era giunta per comprare riserve di grano.

Quando giunse vicino al punto sulle rive della Senna dove si trovava un albero che aveva causato dei naufragi, chiese ai marinai di avvicinarsi alla riva e di abbattere l'albero. Con i colpi dei marinai, e Genoveffa che pregava, l'albero fu divelto alle radici. E subito ne uscirono due mostri di diversi colori, e per quasi due ore i marinai furono tormentati dall'orribile odore che ne promanava. Ma da quel momento, in quel punto non vi furono più naufragi.


La donna paralizzata


Quando Genoveffa entrò nella città di Arcis-sur-Aube, le venne incontro un certo tribuno di nome Passivo, che la supplicò di ridare la salute a sua moglie, che per un certo tempo era bloccata da una paralisi debilitante. E di questo la supplicarono anche gli anziani della città. Entrata nella sua casa, ella andò al letto della donna ammalata, e immediatamente, com'era sua costante abitudine, si mise a pregare. Al termine della preghiera, e dopo avere rafforzato la donna con il segno della Croce, le disse di alzarsi dal letto. Senza indugio la donna che, stando a quanto attestano, era stata immobilizzata dalla sua malattia per quasi quattro anni, e che era incapace anche di camminare da sola, si alzò dal letto completamente guarita al comando di Genoveffa. A causa di questo miracolo pubblico, tutti magnificarono il Signore, "che è mirabile nei suoi santi" (Ps 67:35).


Una moltitudine di ammalati; una ragazza cieca


Quando giunse alla città di Troyes, le venne incontro una moltitudine di persone che portavano i loro malati. Genoveffa, segnandoli e benedicendoli, li rese integri e sani. In quella stessa città le fu portato un uomo che aveva lavorato nel giorno del Signore, e che di conseguenza era stato accecato per retribuzione divina, e anche una ragazza, pure lei cieca, di circa dodici anni d'età. Dopo avere tracciato il segno della Croce sui loro occhi, e dopo avere invocato l'indivisa Trinità, Genoveffa restituì loro la vista.

giovedì 2 dicembre 2010

Vita della nostra santa madre Genoveffa di Parigi (IV)

Mirabile liberazione dei condannati


Non so come descrivere la venerazione con cui la considerava Childerico, re dei Franchi. Era tanto grande che un giorno, in cui egli aveva stabilito di mettere a morte alcuni prigionieri, li condusse fuori della città di Parigi, perché Genoveffa non cercasse di condurli dalle catene alla salvezza, e comandò che venissero chiusi i cancelli. Ma quando qualcuno avvisò Genoveffa delle deliberazioni del re, costei uscì subito a liberare quelle anime. Fu uno spettacolo non da poco di fronte all'intimorita popolazione della città quando, al tocco delle sue mani, il grande cancello della città si spalancò senza l'uso delle chiavi. E così, raggiunto il re, ella chiese e ottenne che i prigionieri non venissero decapitati.


San Simeone lo Stilita chiede le sue preghiere


Vi era un certo santo nei paesi dell'Oriente, un grande disprezzatore del mondo, di nome Simeone, che dimorò per circa quarant'anni su una colonna in Cilicia, a poca distanza da Antiochia. Dicono che seppe di lei in spirito, e fu sempre sollecito nel chiedere ai mercanti, che viaggiavano verso la Gallia e tornavano in Siria, di portargli notizie di Genoveffa. Di fatto, le mandava saluti con profondissima venerazione, e la supplicava con urgenza di ricordarlo nelle sue preghiere.


La liberazione di Cilinia


Una certa fanciulla che era giovane e già promessa sposa, di nome Cilinia, quando scoprì la grazia di Cristo che abbondava in Genoveffa, chiese di poter prendere l'abito [monastico]. Quando il giovane a cui era stata promessa lo seppe, fu ricolmo di indignazione, e giunse alla città di Meaux, dove Cilinia dimorava con Genoveffa. Appena le due giovani seppero che l'uomo era arrivato, andarono in chiesa in tutta fretta. L'evento fu un miracolo, poiché quando esse fuggirono nel battistero, che era all'interno della chiesa, questo si chiuse a chiave da solo. E così la suddetta fanciulla, liberata dal naufragio e dalla contaminazione di questo mondo, perseverò sino alla fine in temperanza e castità.


Guarigione della serva di Cilinia


Circa allo stesso tempo, Cilinia portò da Genoveffa un'ancella che l'aveva servita, e che era ammalata da quasi due anni, tanto che aveva perso l'uso dei piedi. Quando Genoveffa la toccò con le sue mani, ella ritrovò immediatamente la salute.


Genoveffa libera molti dai demoni


Accadde che a Parigi, la sua città, le portarono dodici anime, di uomini e donne, che erano gravemente ossesse da demoni. Subito, Genoveffa invocò Cristo chiedendogli di venirle in aiuto, e si mise in preghiera. A quel punto i posseduti furono sospesi in aria, in tal modo che le loro mani non toccavano il soffitto, né i loro piedi toccavano il suolo. E quando ella si rialzò dalla preghiera, comandò loro di andare alla basilica del santo martire Dionigi. Ma i posseduti gridarono che non avrebbero potuto camminare in alcun modo, se prima ella non li avesse liberati. E così Genoveffa li segnò con la Croce, e con le braccia conserte dietro la schiena e le lingue ammutolite, essi si misero in cammino verso la basilica del Martire. E seguendoli per circa due ore, anch'ella arrivò alla fine alla basilica. Là, quando iniziò a pregare, com'era sua abitudine, gettandosi sul pavimento e rimanendo là tra le lacrime, i posseduti fecero un terribile rumore con grida insopportabili, dicendo che erano ora arrivati coloro a cui Genoveffa si rivolgeva per avere consolazione - forse gli angeli, o i martiri, o certi santi che le venivano in aiuto. Quindi si presentò il Signore stesso, che "è vicino... a tutti quanti lo cercano con cuore sincero" (Sal. 144,19), poiché "appaga il desiderio di quanti lo temono" (ibid., 20), e "ascolta il grido dei giusti e li salva" (ibid., 20). E Genoveffa, rialzatasi dalla preghiera e segnandoli uno per uno, liberò tutti coloro che erano stati posseduti da spiriti immondi. E allo stesso tempo, tutti i presenti sentirono un orribile fetore, che ebbe luogo perché tutti potessero credere che le anime erano state davvero purificate e guarite dalla vessazione dei demoni. E per un miracolo tanto prodigioso, tutta l'assemblea magnificò il Signore.


Le sono trasparenti i peccati degli uomini


Un giorno giunse da lei in viaggio dalla città di Bourges fino a Parigi, una certa fanciulla che dopo la consacrazione del suo corpo (infatti era stata fatta monaca) aveva violato i voti, ma che gli uomini ritenevano senza macchia. Genoveffa le chiese se fosse stata consacrata vergine, oppure vedova. Ed ella rispose che era stata consacrata come monaca, e che offriva degno servizio a Cristo con un corpo inviolato. Al contrario Genoveffa rivelò il luogo, il tempo e l'uomo stesso da cui il suo corpo era stato violato. E colei che si era professata invano sposa di Cristo, pentendosi in coscienza, si gettò subito ai piedi di Genoveffa.

Potrei raccontare molte cose simili riguardo a varie persone, ma a causa del tempo che questo prenderebbe, preferisco mantenere il silenzio.

giovedì 25 novembre 2010

Vita della nostra santa madre Genoveffa di Parigi (III)

Genoveffa fa costruire la Basilica di San Dionigi


Non penso che dovrei rimanere in silenzio riguardo alla venerazione e alla dedizione con cui ella amava il villaggio di Catoliaco (Vicus Catholiacensis, antico nome di Saint Denis), in cui San Dionigi, assieme ai suoi compagni Rustico ed Eleuterio, soffrì il martirio e fu sepolto. La devozione della beata Genoveffa verso di lui era infatti fervida, ed ella desiderava erigervi una basilica in onore del santo ieromartire. Ma era priva di mezzi. Un giorno, mentre i preti della città le passavano accanto, si rivolse a loro così: "Miei venerabili santi padri e anziani in Cristo, vi prego di istituire una raccolta di fondi, in modo che si possa costruire una basilica in onore di San Dionigi. Nessun uomo infatti dubita che il suo tempio incuta timore e tremore." Ed essi le risposero: forse mancherà alla nostra umiltà l'abilità di costruire, poiché mancano i mezzi per cuocere la calce." Ella, ricolma di Spirito Santo, con un volto radioso, disse loro, profetizzando nella sua mente ancor più radiosa: "Andate, ve ne supplico, e camminate sul ponte della città, e riportatemi parola delle cose che udrete."

Quando essi furono per strada, rimasero in attesa di udire qualcosa che avesse attinenza con i desideri della vergine consacrata. Ed ecco, due mandriani di porci, non lontani da loro, si dicevano l'un l'altro: "mentre seguivo le tracce di un animale che si era allontanato, ho trovato un forno da calce di enormi dimensioni." E l'altro mandriano rispondeva, "Anch'io ho trovato nella foresta un albero sradicato abbattuto dal vento, e sotto le sue radici un simile forno da calce, dal quale credo non manchi nulla." All'udire queste cose, i presbiteri guardarono in alto e fissarono i loro occhi ai cieli per la gioia, e benedissero Dio, che si era compiaciuto di offrire una tale grazia attraverso la sua ancella Genoveffa. Trovando i luoghi dove erano i forni da calce, i presbiteri tornarono a raccontarle tutto ciò che avevano appreso dai mandriani dei porci. Da parte sua, ella inondò il suo grembo di lacrime di gioia, e quando i presbiteri ebbero lasciato la sua casa, si mise con le ginocchia fisse a terra e passò l'intera notte in preghiere e lacrime, supplicando Dio di concederle il suo aiuto, perché fosse in grado di costruire la basilica di San Dionigi.

Dopo il termine della sua veglia, alle prime luci dell'alba, si recò dal presbitero Genesio, e lo implorò di costruire la basilica in onore del santo martire. Lo informò pure delle provviste di calce che Dio aveva fornito. Ed egli pieno di timore cadde a terra, venerando Genoveffa con una prosternazione, e promise che avrebbe lavorato notte e giorno per completare ciò che ella gli aveva comandato. Alle suppliche di Genoveffa, tutti i cittadini diedero il loro aiuto, e in onore di San Dionigi fu costruita una basilica di grande altezza.


Un miracolo per i lavoratori


È anche degno di nota ricordare quali miracoli il Signore abbia operato attraverso di lei. Quando i carpentieri furono radunati, e avevano bisogno di legname, alcuni andarono verso le foreste a monte a raccogliere il legname, mentre altri lo trasportavano su carri, e mentre così facevano la loro scorta di bevande si esaurì. E Genoveffa non sapeva di questa mancanza di bevande. Genesio il presbitero le rese nota questa necessità, ed ella chiese il recipiente in cui le bevande dei lavoratori erano raccolte. Quando questo le fu portato, ella chiese a tutti di ritirarsi. E fissando le ginocchia a terra, effondendo lacrime, una volta che percepì che la sua preghiera era stata ascoltata, terminò la preghiera, si alzò, e fece il segno della croce sul recipiente. Mirabile a dirsi, immediatamente la vasca fu piena di bevanda fino all'orlo, e fintanto che la basilica fu in costruzione, i lavoratori ne bevvero in abbondanza, rendendo grazie a Dio.


Le candele si accendono al mero tocco della sua mano


Genoveffa aveva la devozione di tenersi desta in vigilia ogni sabato notte fino all'alba del primo giorno della settimana, secondo la tradizione del Signore, come una serva che attende il suo padrone quando questi ritorna dal banchetto nuziale. Una volta, dopo una notte tempestosa, quando il canto del gallo annunciò che era il nuovo giorno - il giorno del Signore - ella uscì dalla sua dimora, per recarsi con le altre vergini alla basilica di San Dionigi. E avvenne che la candela che era di fronte a loro si spense. Le vergini che erano con lei erano sconvolte dalla paura del buio e della tempesta, ma la santa Genoveffa chiese che le fosse portata la candela che si era spenta. Quando la prese in mano, essa si accese immediatamente, ed ella la portò nella basilica. Questo prodigio ebbe luogo altre due volte; un giorno infatti era entrata in chiesa e si era prosternata a lungo da sola, e al termine della preghiera si rialzò dal suolo, e una candela che mai aveva toccato fuoco si accese al tocco della sua mano per comando di Dio. Dicono anche che nella sua cella una candela si sia accesa al mero tocco della sua mano, e attraverso quella candela molti malati che, motivati dalla fede, la stingevano nelle mani anche per un breve istante, furono riportati in salute.


La ladra accecata


Una certa donna rubò furtivamente le scarpe della vergine, e appena arrivò a casa perse all'improvviso la vista. Comprendendo che l'offesa fatta a Genoveffa veniva puntia dal cielo, ella fu portata con l'aiuto di altri da Genoveffa, tenendo le scarpe nelle mani. E cadendo ai suoi piedi, implorò il suo perdono e il ritorno della sua vista. Genoveffa, con molta bontà, le diede la mano, la sollevò dal suolo, e facendole il segno della Croce sugli occhi, le ridiede la sua facoltà di vedere.

La ragazza paralitica


Nella città di Lione si possono raccontare molti miracoli operati dal Signore attraverso di lei. Mentre Genoveffa si avvicinava alla città, ma ne era ancora distante, gran parte degli abitanti uscì a incontrarla, inclusi i genitori di una certa ragazza che era afflitta da nove anni da una paralisi che non le lasciava muovere le membra. Alle suppliche dei genitori della ragazza e degli anziani del popolo, Genoveffa si recò alla casa della ragazza. Dopo aver pregato, toccò gli arti inerti, e le ordinò di vestirsi e di mettersi le scarpe con le proprie mani. E alzandosi dal letto, la ragazza ormai interamente guarita la accompagnò in chiesa assieme con l'altra gente.

Quando le folle ebbero visto questo miracolo, benedissero il nostro Signore Gesù Cristo, che aveva concesso una grazia tanto grande a quanti lo amano. E quando Genoveffa lasciò quella città, la gente la accompagnò per la strada cantando ed esultando.